Sostegno e perplessità ad un anno e mezzo dall’introduzione dell’omicidio stradale

Per poter valutare il successo o il fallimento di un qualsiasi intervento normativo serve aver ben presente alcune domande d’inquadramento: quali fenomeni vogliamo regolare? Quali effetti vogliamo raggiungere? Quali strategie normative e non è meglio porre in essere? E in fine, come queste si inseriranno nel sistema giuridico teorico preesistente? Detto questo possiamo iniziare ad analizzare il fenomeno delle c.d. vittime della strada e come la legge 23 marzo 2016 n. 41 ha cercato di porvi rimedio.

Per onestà intellettuale di chi vi scrive si deve sottolineare come il fenomeno in esame rientri di diritto tra i multi fattoriali toccando numerosi profili non solo di stretta giuridicità ma anche della più ampia progettazione del trasporto automobilistico nel nostro paese; questa sua natura complessa lo rende allora refrattario a letture semplificatrici e aperto a legittime interpretazioni anche differenti e non necessariamente incompatibili tra loro. Per comprendere allora la portata della temperie socio-giuridica su cui tale riforma è intervenuta basta pensare che solo nel 2016 da stime ISTAT[i] si sono verificati in Italia 175.791 incidenti stradali con lesioni a persone che hanno provocato 3.283 vittime (morti entro il 30° giorno) e 249.175 feriti, si comprende allora come le ragioni della riforma secondo i suoi sostenitori hanno come obbiettivo quello di “Punire chi uccide guidando ubriaco o alterato da droghe” attraverso gli strumenti di “Pene più dure per abuso di alcol, droghe e altre gravi violazioni”[ii].

Ripercorrendo rapidamente gli antefatti della legge 23 marzo 2016 n. 41 che ha modificato il codice penale, nonché il codice di procedura penale e il codice della strada si è assistito ad un iter d’approvazione particolarmente travagliato, che qui semplifichiamo: nata nella XVII legislatura come legge di iniziativa popolare (regolata ex. articolo 71 costituzione) promossa dall’Associazione Lorenzo Guarnieri Onlus è stata approvata dopo alcuni passaggi tra le due camere, in un clima politico di forte scontro, solo attraverso il sistema del voto di fiducia al governo, come noto particolarmente criticato nel dibattito parlamentare.

Passiamo ora ad analizzare i punti salienti di tale intervento evidenziando i pregi e le critiche, per poi concludere la nostra breve analisi valutando gli effetti concreti di tale riforma nella riduzione del fenomeno degli omicidi stradali. Andando per gradi partiamo con l’analizzare brevemente le novità introdotte con la riforma, soffermiamoci sui due articoli cardine introdotti ex novo nel codice penale:

L’art. 589-bis comma 1 “omicidio stradale”:
che punisce con la reclusione da due a sette anni “Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale”.

L’art. 590-bis comma 1 “Lesioni personali stradali gravi o gravissime”:
che punisce con la reclusione da tre mesi ad un anno le lesioni gravi e da un anno a tre anni le lesioni gravissime per chi “cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione”.

Ai commi 2 entrambe le norme proseguono prevedendo l’inasprimenti del trattamento sanzionatorio:
per chi ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza o di alterazione psico-fisica da assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope cagiona la morte di persona, in tal ipotesi sarà punito con la reclusione da otto a dodici anni, in caso di lesioni gravi da tre a cinque anni, in caso di lesioni gravissime da quattro a sette anni.

Ai commi 4 è poi previsto nei casi di più lieve ebbrezza alcolica:
per l’omicidio la pena della reclusione dai cinque ai dieci anni, per le lesioni gravi dai tre ai cinque anni e per le lesioni gravissime dai quattro ai sette anni.

Le norme proseguono prevedendo una circostanza attenuante ad efficacia speciale (riduzione della pena fino alla metà) qualora l’evento non sia conseguenza esclusiva dell’azione o dell’omissione che lo ha cagionato.
In casi di morte o di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata fino al triplo, come peraltro previsto dalle disposizioni generali di cui all’art. 81 c.p., fino però ad un massimo di anni 18.

Infine agli artt. 589 ter e 590 ter sono previste ulteriori circostanze aggravanti ad efficacia speciale che impongono di aumentare la pena da un terzo a due terzi (e comunque non meno di 5 anni di reclusione) per il conducente che si dà alla fuga dopo il sinistro.

La riforma ha anche toccato il codice della strada determinando un notevole rafforzamento delle sanzioni accessorie legate alla violazione delle norme stradali, prima fra tutte la sospensione della patente di guida che può raggiungere il c.d. “ergastolo della patente”.

Riassumendo i tratti salienti di questa normativa abbiamo: il notevole inasprimento del trattamento sanzionatorio fino a 18 anni di reclusione, le stringenti aggravanti che costringono il giudice ad aumentare nel minimo la pena, l’irrobustimento dell’istituto della revoca della patente, quando il delitto è già stato commesso.
La novità normative introdotte con la legge 23 marzo 2016, n. 41 hanno prodotto al di là del loro effettivo impatto sul fenomeno dei c.d. “omicidi stradali” la forte polarizzazione delle posizioni tra coloro che la supportano e coloro che ne evidenziano i limiti e le distorsioni. Ad onor del vero è generalmente riconosciuto alla riforma il merito di aver introdotto nel nostro ordinamento per la prima volta una disciplina sistematica dei reato di omicidio e lesioni stradale; i sostenitori pongono in luce anche come l’innalzamento dei margini sanzionatori per tali gravi reati risulti essere sia la migliore strategia per dissuadere gli automobilisti dal mettersi alla guida alterati da sostanze, sia per colmare quel senso di giustizia leso e frustrato dei familiari delle vittime, sia in ultimo viene evidenziato il calo degli incidenti, morti e feriti rispettivamente del 3,1%, 4,8% e 3,7% nei primi sei mesi di applicazione della stessa (dati relativi ai rilievi della Polizia Stradale in autostrade e strade extraurbane).

Passando ad analizzare le perplessità che la dottrina ha compattamente riscontrato nella riforma, vediamo come siano stati valutati possibili profili di incompatibilità costituzionale: in primo luogo con l’art. 3 costituzione declinato nel principio di ragionevolezza, in quanto le pene irragionevolmente alte previste per tali fattispecie di natura eminentemente colposa sono, senza giustificazioni, vicine ai margini edittali di un delitto doloso. In secondo luogo l’incompatibilità sussisterebbe nei confronti dell’ art. 27 costituzione che espressamente identifica il fine rieducativo della pena in quanto i minimi edittali così alti, nonché la preclusione del giudizio di bilanciamento tra circostanze, rendono difficile per il giudice, se non impossibile, irrogare una pena congrua e funzionale alle esigenze di rieducazione del reo. Detto questo, l’inasprimento delle pene di per sé non è sufficiente a dissuadere l’agente dal tenere una condotta pericolosa in quanto il processo decisionale che precede l’adozione di tali comportamenti è solo apparentemente coperto da una ragionevolezza astrattamente riconosciuta dalla norma. Risulta allora quanto meno lecito chiedersi se tale normativa possa effettivamente incidere su crimini stradali compiuti da un soggetto caratterizzato da deficit nelle capacità cognitive. In ultimo dati alla mano viene evidenziato come il fenomeno dell’infortunistica stradale segue ormai da anni un trend discendente, in cui l’introduzione di sistemi di controllo e prevenzione generali hanno avuto gli impatti maggiori, si pensi come l’introduzione del c.d. “sistema della patente a punti” 1 luglio 2003 permise un calo degli incidenti del 17,16% nel giro di 5 mesi (rispetto allo stesso periodo del 2002) mentre la decrescita nel numero di morti e feriti fu rispettivamente del 23,4% e del 20,2% (dati relativi ai rilievi della Polizia Stradale in autostrade e strade extraurbane) dati ben maggiori rispetto a quelli visti poc’anzi.

Forse allora “in media stat virtus”, nei termini in cui il mezzo penale, pur essendo indispensabile presidio dei beni giuridici della vita e della integrità fisica, deve necessariamente affiancarsi a un corredo di strumenti general-preventivi che intervengano sui fattori determinanti di tali fenomeni, puntando quindi non tanto e non solo a punire chi sbaglia ma anche a eliminare alla base le cause di tale mattanza. Concludiamo con una piccola provocazione di chi scrive: vogliamo evitare che chi beve o si droga vada alla guida? Benissimo, consideriamo allora di introdurre anche nel nostro paese per tutti i veicoli il sistema dell’ “Ignition Interlock device”,  già in uso in alcuni stati americani. Questo sistema, similare a un comune alcol test istallato direttamente nel veicolo, permetterebbe di bloccare sul nascere situazioni di potenziale pericolo, in quanto per poter avviare l’automobile è necessario soffiare nell’apposita bocchetta e solo se si risulta negativi l’automobile si accende. Lasciamo al lettore la riflessione su come strumenti di tale tipologia potrebbero essere, per l’appunto, un vero e duro colpo alle c.d. “stragi del sabato sera”.

[i] https://www.istat.it/it/archivio/202802

[ii] http://deputatipd.it/fatti-concreti/legge-omicidiostradale/provvedimento.pd

Carlo Alberto Franci
Area Ufficio Stampa BeGov Milano

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