Sorpresa (ma nemmeno tanta): i dipendenti della P.A. sono troppo pochi

Se numerosi sono i fondati appelli ad una maggiore efficienza della pubblica amministrazione, più carenti sono invece quelli che indagano in ottica scientifica le ragioni di questa inefficienza. Autorevoli testate giornalistiche hanno più volte puntato il dito contro marginali problemi, come i c.d. “furbetti del cartellino”, senza mai invece concentrare l’attenzione sui rapporti di causa-effetto esistenti.

E fin quando sono i sindacati a lamentare una carenza di personale, poche sono le reazioni nel dibattito pubblico, seduto com’è sugli altari delle facili spiegazioni. Se invece a dirlo è l’ADAPT, l’associazione per gli studi sul lavoro e le relazioni industriali fondata da Marco Biagi (non certo un sindacalista, diciamo), la situazione si fa più complessa e forse anche in grado di sensibilizzare l’opinione pubblica e chi di competenza sulla portata del problema.

La ricerca, condotta nelle scorse settimane dall’equipe di docenti delle università del Piemonte Orientale e di Torino (Maria Luisa Bianco, Bruno Contini, Nicola Negri, Guido Ortona, Francesco Scacciati, Pietro Terna, Dario Togati), fonda le sue considerazioni sulla comparazione dei dati sul mondo del lavoro nella PA fra i diversi stati membri dell’Unione europea. In particolar modo questi dati vengono messi in un rapporto di causa effetto con i numeri generali sull’occupazione e i risultati non lasciano spazio a dubbi: i dipendenti della Pubblica amministrazione italiana sono troppo pochi.

La ricerca indica che in Italia gli occupati nella pubblica amministrazione sono 3.055.000, 48.9 per mille abitanti. Il nostro Paese si ritrova all’ultimo posto nella classifica europea, capeggiata dalla Svezia (141,1 occupati nella pubblica amministrazione ogni mille abitanti) e seguita da Francia (83,2), Inghilterra (78), Spagna (60,5), Grecia (56,5), Germania (52,5). L’Italia è inoltre al penultimo posto nella percentuale (13,6) dei dipendenti della pubblica amministrazione rispetto al totale degli occupati. Solo la Germania ha un valore inferiore (10,6) mentre il gruppo degli altri Paesi registra il 28,6 della Svezia, il 21,4 della Francia, il 18 della Grecia, il 16,4 dell’Inghilterra, il 15,7 della Spagna.

La tesi portata avanti dall’ADAPT fa anche fronte ad eventuali critiche, basate sulla considerazione che in Italia le privatizzazioni degli anni ’90 avrebbero creato questa carenza di domanda della Pubblica Amministrazione. A ciò l’equipe risponde illustrando i dati virtuali sulla disoccupazione degli altri paesi adattati alla nostra popolazione di addetti al servizio pubblico: i dati sulla disoccupazione andrebbero alle stelle, mentre attualmente sono per lo più inferiori rispetto a quelli italiani.

Il progetto portato avanti dall’ADAPT pone anche l’attenzione sulla diffusa critica sui laureati italiani, corretta nell’an ma non nel merito. Sebbene infatti in un’economia sviluppata la Pubblica amministrazione sia l’entrata naturale dei neo-laureati nel mondo del lavoro (cosa che in Italia non avviene), sbagliata è la considerazione generale posta riguardo le materie (“troppi laureati in lettere”): è giustamente sottolineato nel progetto che il numero di laureati nelle materie scientifiche abbiano la stessa percentuale di occupati che quelle umanistiche. Insomma: a mancare è la domanda di occupati, non quella di soli insegnanti o soli professori.

«L’Italia» afferma l’equipe di ricerca «ha la più bassa percentuale di laureati fra i Paesi europei e al tempo stesso la seconda più alta percentuale di laureati disoccupati. La spiegazione di questo apparente paradosso non può che essere il sottodimensionamento del settore pubblico, che in un’economia sviluppata è uno dei principali datori di lavoro per laureati».

La soluzione, affermano gli studiosi, consisterebbe nell’assunzione di due milioni e mezzo di nuove professionalità da inserire nelle ramificazioni della pubblica amministrazione. Che sarebbero in grado sia di svecchiare il capitale umano presente, sia di portare i livelli di occupazione a livelli anche migliori di quelli europei. Le politiche di razionalizzazione del servizio pubblico non vengono viste di buon occhio dagli esperti, che affermano: «Non è che si possa fare molta strada spostando coloro che già vi lavorano. Non va dimenticato che l’età media dei pubblici dipendenti italiani è eccezionalmente alta, e la loro scolarità molto bassa, per quanto si sposti o si investa nella formazione difficilmente un impiegato cinquantenne con un diploma di scuola media superiore potrà svolgere le stesse mansioni di un esperto informatico venticinquenne e laureato. La razionalizzazione dell’uso degli addetti attuali e le decisioni sul loro aumento devono andare di pari passo. Nulla impedisce, se non una politica sbagliata, che si comincino a fare delle assunzioni là dove fin d’ora è evidente, o facilmente accertabile, che sono necessarie».

Spinoso è il punto conclusivo sulle risorse. Senza citare il Patto di Stabilità e Crescita (che attualmente costituisce il maggiore freno per le assunzioni nella PA, specie degli enti locali), l’ADAPT suggerisce che il blocco di assunzioni sarebbe finanziabile attraverso un’imposta patrimoniale sulla ricchezza finanziaria (non sugli immobili, come consigliano i sindacati), che soltanto nel 2017 ha raggiunto i 4200 miliardi.
Supponendo una retribuzione pari a quella di ingresso di un insegnante laureato sarebbe sufficiente un’aliquota media di circa il 5 per mille per assumere 1 milione di nuovi addetti, anche se sarebbe meglio ammettere una quota esente (di almeno 100 mila euro) e adottare aliquote progressive, comunque non superiori all’1%.

Staremo a vedere se questo contributo dell’ADAPT fornirà un elemento di discussione. Ciò che è certo è che si tratta di un elemento di rottura rispetto al passato, specie secondo quanto auspicato da Biagi stesso. Con ricette diverse, le conclusioni dell’ente di ricerca sono le medesime di quelle dei suoi oppositori. Vedremo se qualcuno saprà farne tesoro. I giovani laureati ringrazierebbero.

Daniele Corasaniti
Resp. Ufficio Stampa UMG Catanzaro

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