Sersale, Catanzaro 28/11/2016.
Puntuale, ogni anno, in relazione alla pubblicazione del rapporto SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ci si interroga sulla specificità dei fondi da assegnare al Mezzogiorno. Il confronto sulla politica industriale mostra da sempre, non solo negli ultimi anni, un’Italia che viaggia a velocità differenti.
Propedeutico per comprendere adeguatamente tutto il discorso sullo sviluppo è, parlare di cosa si intenda per industria. Con il termine industria si vuole indicare un settore che include al suo interno la manifattura e oltre ad essa anche le costruzioni. Il termine industria viene utilizzato in senso lato per indicare qualsiasi attività umana che viene svolta allo scopo di generare beni e servizi. In senso più stretto ci si riferisce alla produzione di beni in serie. In sintesi l’attività industriale richiede una struttura più complessa rispetto a quella artigianale e vede il capitale o meglio l’apporto di natura finanziaria predominante rispetto a quello umano che invece è fondamentale nell’artigianato.
Compreso che cosa si intenda quando si parla di industria, possiamo parlare di come nel tempo si sia evoluta. Parliamo, nello specifico dei distretti industriali ovvero un agglomerato di imprese, ubicate nello stesso territorio specializzate in una o più fasi del processo produttivo e integrate da interrelazioni di carattere economico e perché no? Anche sociale. Questo modello trova spazio in Italia negli anni settanta, quando iniziano a mostrarsi i primi fallimenti della grande impresa essendo venute meno le condizioni di crescita espansiva della domanda di mercato, tuttavia, è già da questo momento che si può rilevare la profonda spaccatura dell’Italia i distretti iniziano a diventare realtà consolidata al nord scendendo sul versante adriatico mentre restano realtà di nicchia al sud. Secondo ultime stime questa forma di produzione ha dato vita a tre Italie differenti, il nord-est specializzato in un tipo di produzione il nord-ovest in un’altra e il sud con assenza o parziale presenza di distretti. Qualora presenti i distretti non evidenziano omogeneità nella produzione. Proprio a tal riguardo è necessario dire che la SVIMEZ ha evidenziato come le misure di incentivazione siano inadatte a territori che ancora oggi non hanno conosciuto la vera industrializzazione, serve una politica nuova, per un rilancio consapevole per un futuro che potrebbe vedere il Mezzogiorno come vero motore di una nuova Italia.
Buona appare la politica di Governo volta a ripristinare per il Sud nel 2017 l’esonero totale dal pagamento dei contributi INPS a carico del datore di lavoro per i nuovi assunti, giovani e svantaggiati a tempo indeterminato. La domanda che sorge spontanea è: tutto questo sarà sostenibile? Altra misura del Governo che salta subito all’occhio è la misura nazionale di contrasto alla povertà nelle famiglie a rischio. Ma le risorse? Assolutamente insufficienti, niente se, niente ma, niente scuse, con le attuali risorse si potranno raggiungere al massimo un terzo dei 4,5 milioni di persone, di cui solo 2 milioni e 100 mila al Sud che in Italia versano in condizione di miseria. L’istituzione del fondo è si un passo avanti ma forse ancora troppo poco.
Analizzare ora alcune delle proposte SVIMEZ appare doveroso, necessario. A Roma nella sala del Tempio di Adriano della Camera Di Commercio, solo pochi giorni fa, si è discusso di rilancio, di un’economia assai indietro ma secondo alcuni con potenzialità immani che nessuno ancora ha compreso. Fissati i capisaldi, si cercherà di risanare, di ricostruire, se necessario edificare solide basi sulle quali costruire premi e successi.
La prima cosa da fare è superare l’attuale basso accesso delle imprese meridionali alla quasi totalità di strumenti nazionali di politica industriale. Forse il primo passo per farlo è chiedersi perché ciò avvenga, capire le motivazioni che spingono gli imprenditori a non farlo, mettersi in discussione. Secondo alcuni la burocrazia per accedere al credito è davvero troppa, sarebbe opportuno attuare una semplificazione? In seconda istanza è necessario orientare le risorse verso interventi per la crescita dimensionale, importante appare internazionalizzare in quanto aprirsi al mondo ad oggi sembra la giusta via da percorrere per raggiungere il successo. Terzo punto su cui molto si è premuto è l’implementazione industriale declinando a favore del meridione gli investimenti di incentivazione. Finanziare a tasso zero le imprese meridionali per la nuova Sabatini e implementare i competence center. Rilanciare l’attrattività degli investimenti al Sud attraverso le ZES (Zone Economiche Speciali). Altro carattere degno di nota che certamente non può e non deve passare inosservato è la scarsa utilizzazione del capitale umano. È importante che alla base della ripartenza ci sia l’occupazione, la creazione di lavoro specializzato. Il maggior contributo alla ripresa, dati recenti alla mano, è dato al meridione, dai contratti a termine e part time. È l’occupazione atipica ad essere cresciuta. Si mira con queste nuove proposte ad aumentare l’occupazione cosiddetta “tipica”, parliamo di introduzione di lavoratori a tempo indeterminato.
Al termine di questa trattazione per completezza di analisi è doveroso parlare di quelli che sono i driver dello sviluppo. Obiettivo primario è rilanciare la logistica; realizzare filiere territoriali al sud con veri e propri district park: Napoli, Torre Annunziata, Salerno, Gioia Tauro, Taranto, Catania, Messina, Città dello Stretto, Termoli; lo scopo è quello di attrarre merci da lavorare tramite attività logistiche ad elevato valore aggiunto, esportate via mare trattenendo valore e ricchezza. Naturalmente non poteva rimanere zona d’ombra la rigenerazione urbana, una sfida che vede la stipula di patti nati al fine di promuovere le capacità di coordinamento e integrazione degli interventi. Primo passo in questa direzione è costituito dal Piano periferie. Ma su cosa puntare realmente per arrivare a quello sviluppo che poi è tema centrale di analisi? Energie rinnovabili e Biomasse sembrano essere la risposta ai tanti problemi che attanagliano queste terre tanto martoriate. Il sud, per gli addetti ai lavori, potrebbe ritagliarsi un ruolo crescente nell’offerta di biomasse puntando su residui agricoli e dell’industria agroalimentare. Tutto ruota così attorno ad un settore che sembra essere, oltre al turismo chiave di un successo promesso ma che per ora appare solo utopia. L’agricoltura meridionale può oggi contare innanzitutto sulla qualità della produzione ma anche sulla multifunzionalità che comporta diversificazione. Ruolo da indiscussa protagonista in questo piano assume la cultura, è dalla cultura, dalla bramosia di cercare e di trovare che si vuole creare un nuovo corso, con Matera Capitale Europea della cultura per il 2019 si è voluto dare un segnale, il sud potrebbe essere il nuovo faro di Alessandria, il nuovo punto di riferimento per quanto riguarda eventi di calibro elevato che porterebbero sicuramente un incremento dal punto di vista turistico. Le proposte ci sono, l’augurio è che ci sia anche chi cerca di cambiare le cose, chi crede che il sud sia un diamante in mano a chi non capisce di pietre preziose, chi crede che si possa partire da domani costruendo un futuro sicuramente meglio dell’oggi.
Di seguito riportata una tabella riassuntiva su quote% di accesso del Sud ai principali interventi di rilievo per la politica industriale, i dati sono presi da “Il Sole 24 ore”.[1]
Interventi | Periodo di riferimento | Quota % del sud |
Fondo di garanzia per le Pmi | 2007/2015 | 30,2(a) |
Nuova Sabatini (macchinari) | 2014/30/06/2016 | 10,0(c) |
Fondo italiano di investimenti | 2010/2015 | 4,0(d) |
Fondo strategico italiano | 2011/2015 | 0,0 |
smart e start Italia (start up) | 2015 | 10,0(e) |
Contratti di sviluppo | 2012/giugno 2016 | 77,0(b) |
Alessandro Torchia.
[1] (a)garanzie concesse, (b)agevolazioni concesse,(c)domande presentate,(d) investimenti diretti, (e)agevolazioni richieste.
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