L’Unione Europea è costruita su principi molto solidi e le libertà che vengono sancite nei trattati sono fondamentali per il corretto funzionamento di essa ma alle volte, si sa, la fluidità di determinate situazioni economiche, conseguente a certe regole comunitarie, possono arrivare a creare problematiche non di poco conto per gli Stati membri.
L’ ultima vicenda riguarda in particolare il nostro Paese, che nelle ultime settimane si è trovato a gestire, col ministro dello sviluppo economico Calenda in prima persona, una vicenda molto delicata.
Parliamo del caso Embraco, società del gruppo Whirlpool, che si occupa della fabbricazione di compressori per frigoriferi e che può vantare la bellezza di circa 500 operai presso lo stabilimento di Riva di Chieri in provincia di Torino.
Il problema è che, dopo aver manifestato in più occasioni negli ultimi anni la poca voglia di proseguire la propria attività industriale in Italia, è arrivata una decisione risolutiva e, parrebbe, irrevocabile.
A gennaio infatti gli operai della società in questione hanno ricevuto una lettera di licenziamento collettivo e la motivazione principale sembrerebbe essere quella di voler continuare a produrre in Slovacchia, dove si potrebbe usufruire di un regime fiscale e salariale più agevole e di conseguenza di un utile più consistente.
Il governo ha subito pensato a soluzioni alternative, come la possibilità di far trasformare i licenziamenti in cassa integrazione, così da prendere tempo e poter decidere su altri percorsi da intraprendere pur di mantenere la produzione in Italia. Ebbene, neppure la possibilità concreta che lo Stato mettesse mani al portafoglio sembra aver dissuaso la Embraco dal voler emigrare verso la Slovacchia, dove le posizioni lavorative aperte sembrerebbero essere già tante.
I 964 euro di salari medi garantiti dal contratto collettivo stipulato nel Paese con capitale Bratislava sono una occasione ghiotta e rappresentano l’elemento decisivo per la delocalizzazione.
Nel frattempo il caso è arrivato a Bruxelles, dove il commissario europeo per la concorrenza Vestager ha assicurato sulla piena collaborazione. In realtà, nonostante i buoni propositi, oggi come oggi l’Ue non ha strumenti per arginare questi fenomeni derivanti dal dumping fiscale e salariale. Certo esiste a livello europeo un fondo per l’adeguamento alla globalizzazione ma vale solo per le delocalizzazioni fuori dall’Ue.
A trattenere l’impresa in Italia non basterebbe neppure il progetto del governo di un fondo anti-delocalizzazioni che mirerebbe prettamente a reindustrializzare là dove la fuga delle multinazionali è già avvenuta. Dunque né la legislazione ordinaria né tanto meno quella comunitaria offrirebbero meccanismi di prevenzione adeguati allo stato delle cose.
Per di più, sembra che la Slovacchia avendo ricevuto 20 miliardi derivanti da fondi europei finalizzati proprio alla crescita economica nel periodo 2014 – 2020, li stia impiegando proprio per costruire un regime lavoristico che invogli le imprese ad investire lì. Insomma la vicenda somiglia sempre di più ad un cane che si morde la coda.
In una campagna elettorale che sembra concentrarsi di più su altri temi, ci è voluto il caso di una azienda brasiliana che vuole fuggire dall’Italia a riportare l’attenzione sul lavoro.
C’è ancora tempo, i contratti scadono il 25 marzo e, si spera , che almeno entro quella data si riesca a mettere una pezza a questa situazione e arginare le conseguenze dell’atteggiamento poco umano verso i lavoratori da parte della Embraco.
Raffaele Leone
Resp. HR UMG Catanzaro