Una delle paure più diffuse tra i giovani è non trovare lavoro e aggiungersi al novero dei cosiddetti “neet” (acronimo di “not in education, employment or training” utilizzato per indicare i giovani che non studiano e non lavorano). Chi, invece, ha miracolosamente trovato un lavoro a tempo determinato teme di non veder rinnovato il proprio contratto. Neppure chi ha il cosiddetto “posto fisso” e anni di esperienza alle spalle si sente al sicuro: perdere la propria occupazione è sempre più frequente, complice la crisi economica che, a partire dal 2008, ha notevolmente ridotto il mercato del lavoro.
Secondo l’ISTAT, attualmente i disoccupati sono il 10,8% della popolazione. Il fenomeno riguarda sia i giovani, per i quali il tasso di disoccupazione è pari al 32,2%, sia gli over 50, la cui situazione è, però, in lieve miglioramento rispetto ai mesi precedenti.
In Italia i lavoratori subordinati che hanno involontariamente perso la propria occupazione e presentano i requisiti previsti dall’INPS possono avvalersi dell’indennità di disoccupazione.
Questo sostegno economico permette quindi, a una determinata categoria di disoccupati, di avere uno stile di vista dignitoso. La sola indennità non è però un rimedio sufficiente al problema della disoccupazione e, proprio per questo motivo, da alcuni anni sono in atto politiche attive volte ad aiutare chi è in cerca di un’occupazione. Grazie a fondi pubblici ed europei, le regioni danno la possibilità ai disoccupati di frequentare gratuitamente corsi di formazione professionale, come accade in Lombardia, oppure viene fornito un assegno di lavoro da spendere in corsi analoghi, come accade ad esempio in Sicilia.
L’obiettivo è chiaro: dare ai giovani strumenti idonei a trovare lavoro o ad iniziare un’attività lavorativa autonoma e permettere a chi è più avanti negli anni di aggiornare la propria formazione. L’opportunità sembra vantaggiosa soprattutto per chi ha terminato la propria istruzione parecchi anni fa: le conoscenze di questi rischiano di essere obsolete e, quindi, inadatte alle richieste dei datori di lavoro.
Nonostante gli evidenti aspetti positivi del progetto, le regioni hanno incontrato alcuni problemi riguardanti gli enti che si occupano dei corsi e la gestione dei fondi messi a disposizione.
Per quanto riguarda gli enti di formazione, vi sono alcune perplessità sui criteri in base ai quali avviene la selezione: il metro di valutazione usato si basa principalmente sulla capacità degli enti di attrarre iscritti e sull’utilizzo di nuove tecnologie in aula, quali tablet o PC. Nelle valutazioni non viene menzionata l’efficacia di tali corsi nella ricerca di un impiego. Infatti, le regioni non sono tenute, in base all’accordo stretto per accedere al fondo sociale europeo, a verificare che i disoccupati trovino effettivamente lavoro grazie ai corsi. Gli enti accreditati potrebbero, quindi, puntare solo a riempire le classi e guadagnare il più possibile, senza preoccuparsi di fornire ai loro studenti una formazione adeguata al mondo del lavoro.
Dal punto di vista dei fondi, invece, vi sono stati problemi legati all’impossibilità di soddisfare tutte le richieste fatte da chi è in cerca di lavoro. La Sicilia, ad esempio, aveva previsto diecimila posti nei corsi di formazione, per poi vedersi arrivare oltre il doppio delle richieste.
Fin’ora, i corsi di formazione e la loro organizzazione hanno suscitato non poche perplessità, ma sembra che le regioni stiano lentamente imparando ad offrire un servizio idoneo alle esigenze dei cittadini. Il Veneto, ad esempio, ha recentemente iniziato a fornire corsi di formazione e la scelta di questa regione è stata di restringere il bando alla categoria di disoccupati più “debole”: quella degli over 50. La politica adottata dal veneto è stata accolta con favore: forse prevedere corsi per una categoria ristretta di disoccupati è la soluzione ai problemi organizzativi ravvisati in altre regioni.
Anna Carrara
Resp. Workshop & Ufficio Stampa BeGov Pavia