L’ultimo comma dell’art. 97 della Costituzione dispone: ‘’Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge’’.
Questo è ciò che gli studenti di diritto apprendono dai manuali di diritto amministrativo, insieme ad altri punti fondamentali riguardanti questo aspetto.
In particolare, se facciamo un excursus storico riguardo a questo primo articolo della sezione II della parte II del titolo III della nostra Costituzione, tanto amata e poco rispettata (nel vero senso della parola rispetto) e osservata, vediamo quanto ciò che è qui esplicitato non sia poi così ovvio e scontato. Infatti, in una delle prime formulazioni di questo articolo, in particolare nella formulazione approvata dalla terza sottocommissione nel 1946 si enunciava ai commi 2 e 3: ‘’L’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto pubblico è libero ai cittadini, salvo le limitazioni stabilite dalla legge, senza distinzione di sesso, razza, religione e fede politica” e “A tali impieghi si accede mediante concorso’.’
Qual è la differenza di fondo tra le due stesure?
Innanzi tutto, è opportuno notare come nella formulazione definitiva non ci sia il bisogno di specificare che non ci debbano essere differenze di sesso nell’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni. Cosa che sembrerà banale ma è una conquista – se vogliamo recente – considerando che nella storia contemporanea non appena le donne hanno iniziato a ricoprire incarichi anche dirigenziali ricevevano una retribuzione minore rispetto a quella degli uomini. Oggi una tutela ampia è garantita nei principi fondamentali dall’art. 3 della Costituzione.
Stessa cosa per le distinzioni riguardanti la fede politica. Fino a non molto tempo fa (così come anche oggi per quanto riguarda ruoli apicali favoriti dai sistemi di spoil system) era la politica a collocare negli uffici della gestione della res pubblica il personale “addetto” a tali mansioni. Forse è questo uno dei conti più salati che le generazioni precedenti ci lasciano da pagare? Chiudiamo qui il discorso.
Sappiamo che il tema del pubblico impiego costituisce il punto focale della speculazione dottrinale contemporanea, soprattutto in tema di concorsi pubblici, che vengono ormai banditi raramente e per il cui superamento è prevista una soglia altissima da oltrepassare.
In un recente articolo de Il Sole 24 Ore si sostiene e si certifica con dati statistici che i giovani di oggi prediligono il settore pubblico per l’impiego, soprattutto le eccellenze, i laureati con lode.
Di cosa meravigliarsi? Il ‘’posto fisso’’, per fare un po’ di satira alla Checco Zalone, è il massimo a cui poter aspirare; ferie retribuite, malattia, permessi, tredicesima, giorno libero ecc…
(È questo) Ma non è questo il punto.
Il punto è che il concorso pubblico garantisce il rispetto del principio della meritocrazia, che oggi diventa sempre più forte grazie all’impiego di strumenti telematici che garantiscono la trasparenza dell’azione amministrativa, e che rende quasi impossibile l’utilizzo della discrezionalità, sfuggendo gli atti al controllo della mano umana, letteralmente. Oggi la dinamica del concorso pubblico è “vinca il migliore”.
Ma la tendenza ad entrare nel mondo dell’amministrazione pubblica sarà dovuta anche ad altri fattori?
Certamente c’è da dire che l’offerta da parte del settore pubblico è sicuramente più esigente e massiccia rispetto a quella del settore privato, quest’ultimo più in difficoltà, se consideriamo la situazione finanziaria e tributaria del nostro paese. Ciò rende l’offerta di lavoro da parte del privato quasi un miraggio.
E c’è da aggiungere che nonostante ci sia la necessità di ricoprire incarichi di carattere pubblico nelle pubbliche amministrazioni questa non è mai coadiuvata da una perfetta e proporzionale corrispondenza tra domanda e offerta, tra quantità di lavoro da svolgere e personale effettivamente disponibile. Forse anche perché i concorsi indetti non sono mai abbastanza significativi. ‘’16.000 persone per 1 posto al confine con…, per dire.’’
Forse perché ancora ci trasciniamo lo scotto della generazione precedente (vedi sopra) che non può ancora abbandonarci, date le nuove politiche pensionistiche.
Se consideriamo l’animus di un giovane laureato che si accinge a partecipare ad un pubblico concorso, con un’analisi realistica, possiamo però dare una soluzione sulla quale più o meno tutti saremo d’accordo: oggi è concesso a tutti i “capaci e meritevoli” di studiare. Una volta terminati gli studi inizia il baratro delle incertezze, cosa fare, cosa non fare, raggiungere gli obiettivi prefissatisi a 18 anni? O aspirare a qualcosa di solido (e senza dubbio prestigioso) e smettere di cercare quello che ha sempre costituito l’oggetto dei propri sogni?
Possiamo allora dire che per i ragazzi di oggi, che con sacrificio raggiungono l’eccellenza in un momento storico in cui è difficile eccellere visto che tutti hanno pari opportunità di apprendere e formarsi, il fascino della PA è seducente? O è semplicemente la certezza in un mondo di incertezze e infinite pluralitá?
Anna Chiara Verrengia
Resp. Eventi UMG Catanzaro